SOLO VALIGE DI CARTONE PER CARROZZE DI III CLASSE

Il mondo non è diventato quel brutto posto che è perchè ci sono pochi cattivoni a comandarlo. La colpa è della massa di sgherri striscianti che chiede di essere comandata e sottomessa per qualche briciola di pane raffermo...

Non dimentichiamolo mai (lo scrivo anche per me), la lotta, quella vera, si fa fuori da internet, con il mouse non si cambia il mondo.

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domenica 14 novembre 2010

Lo straniero e la nostra identità: I parte.



(Cercherò in questi articoli di approfondire il più possibile la relazione che intercorre tra noi e lo straniero. Il tema è molto lungo quindi ho pensato di frammentarlo in più articoli. ) 



Varcano i nostri confini, provengono da terre a volte con nomi esotici, a volte con nomi impronunciabili, invadono le terre che furono dei nostri padri e dei padri dei nostri padri; è l’orda barbarica che preme sul limes dove, appena qualche passo dopo, fumano i nostri comignoli e l’intimità  delle nostre abitazioni. 

Straniero – strano- estraneo da…. estraneo a noi…strano “da noi”….diverso da noi. 

Il termine straniero è correlato direttamente alla nostra identità: lui è in quanto non è noi e noi siamo in quanto non siamo lui.

I confini, per i romani, erano limiti designati da pietre, le quali, essendo sacre,  non potevano rimuoversi senza commettere delitto: allora lo straniero che viene da noi varca un limite portandosi dietro un mondo altro, un mondo che ha tradizioni e leggi differenti dalle nostre, non si accontenta insomma di venire da “solo”.

In fondo il confine stabilisce il limite (limes appunto) tra ciò che c’è dentro e ciò che sta fuori dal nostro mondo, varcando tale limite, il barbaro (l’equivalente di straniero nell’antica Grecia e nell’antica Roma), porta icasticamente un mondo nuovo facendo vacillare le certezze del nostro: dice che il nostro ordine non è l’uno e il solo, dunque provoca in noi uno spaesamento.

Non dimentichiamo che il paesaggio è “soprattutto un contenitore di simboli, un insieme di segni, quindi di significanti e di significati”cit,, a questo proposito e interessante riportare la storia raccontata da Ernesto de Martino su una sua opera uscita postuma:


“……” “Orbene, il De Martino racconta che un giorno, aggirandosi con il suo gruppo in auto per raggiungere una certa località, smarrisce la strada e non riesce più a ritrovare la giusta direzione (teniamo presente che siamo alla fine degli anni Cinquanta e ci troviamo per lo più in presenza di strade bianche e tortuose). Ai bordi della strada c’è un contadino al quale vengono chieste informazioni sul percorso da seguire e, poiché le sue spiegazioni non sono molto chiare, viene invitato a salire in macchina per far da guida al gruppo. Il contadino accetta a malincuore, comunque sale in macchina, ma dopo un po’ i ricercatori si rendono conto che, a mano a mano che l’auto si allontana dal punto dove è stato fatto salire a bordo, il contadino comincia a stare male fisicamente, ad avere agitazione psico-motoria e sudorazione fino a raggiungere un vero e proprio stato di angoscia. L’angoscia del contadino calabrese è cresciuta a mano a mano che, allontanandosi l’auto, ha visto scomparire dall’orizzonte visuale il campanile di Marcellinara, del suo paese natio. Rendendosi conto del suo malessere, i ricercatori decidono di riaccompagnare il contadino fino al punto in cui è stato prelevato. Nel percorso di ritorno questa angoscia crescente si placa, il contadino si calma e, arrivato a destinazione, si catapulta fuori dall’auto e finalmente si rilassa, perché finalmente ha ritrovato il campanile di Marcellinara.”


Questo esempio molto citato del pastore del campanile di Marcellinara ci fornisce una spiegazione molto chiara di ciò che è lo spaesamento. A mano a mano che il pastore vede allontanarsi il suo campanile, il suo riferimento, egli sta progressivamente male, pochi km di macchina provocano in lui uno spaesamento, un sentirsi fuori dai suoi abituali confini: non altro che lo stesso meccanismo che provoca in noi lo straniero, in quanto egli traccia delle evidenti modificazioni al nostro paesaggio abituale aggiungendo elementi inattesi alla “conformità” della vista, producendo nuovi significanti e significati al nostro “insieme” paesaggistico.

Pensiamo al primo uomo, all’uomo primordiale, per lui il mondo era tutto da apprendere, i confini neanche esistevano, il paesaggio era un insieme di tetre presenze e simboli oscuri, lo dominavano la fame e il freddo: egli era “caos” era- “nel caos”- se vogliamo lo stato originario della materia, uno spazio vuoto indefinito e indeterminato, una voragine incolmabile. 

Nel momento in cui in noi si produce uno spaesamento noi riproduciamo la stessa situazione dell’uomo primitivo e ci ritroviamo nel caos.

Continua....
Fine prima parte. 

Davide.

1 commento:

Napalm ha detto...

Gran bel blog. Ti seguo!

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