* 1° articolo necessario e preliminare (a cui ne seguiranno altri) alla discussione e all’analisi dell’attuale momento storico dei movimenti indipendentisti sardi **Questo articolo non si propone di fornire giudizi sul movimento attuale, vuole solo comprendere le ragioni sia pur sommarie che spingono un popolo verso l’indipendenza.
La storia pullula di movimenti indipendentisti, di battaglie di popoli oppressi contro gli oppressori, di narrazioni epiche, assalti e carneficine verso l’indipendenza da un ente oppressore, da un accentratore di sovranità che soffoca le autonomie indigene.
A fotografare le ragioni delle attuali tendenze centrifughe del popolo sardo, che invero affondano ben oltre il 1720 data d’inizio formale della dominazione piemontese , sia in una prospettiva diacronica (ossia nel loro divenire storico), che in una prospettiva sincronica (ossia quella attuale di altri movimenti indipendentisti), si constata quanto non siano dissimili da quelle di altri movimenti per l’indipendenza storici o attuali.
- La prima ragione è di carattere culturale, per alcuni di carattere etnico. Sottende la considerazione dell’ente oppressore come stato- nazione.
Ossia - considerando la “comunità – etnica” sarda come unità nella storia, nella posizione geografica, nelle caratteristiche della lingua, della cultura e delle tradizioni culturali, nella struttura sociale e nell’economia- l’oppressione dello stato nazione si perpetra nell’opera di snazionalizzazione della comunità e di colonialismo culturale.
Stato oppressore, in quanto di per sé portatore di una serie di valori culturali, economici, linguistici e sociali differenti, non già concorrente alla cultura di una comunità "etnica" chiusa, ma in antitesi con essa ; stato che per antonomasia non ammette altro da sé, sia pur nella blanda concessione di un’autonomia fasulla (statuto speciale regionale) più formale che sostanziale, più amministrativa che auto- governativa.
Se vi fosse almeno l'effettività di una statuità regionale speciale si configurerebbero i prodromi di uno stato (pre)federale.
Se vi fosse almeno l'effettività di una statuità regionale speciale si configurerebbero i prodromi di uno stato (pre)federale.
In questo senso, il divieto dell’uso del bilinguismo negli uffici pubblici e nelle scuole dovrebbe assurgere a simulacro oppressivo: se intendiamo così come dev’essere intesa, una lingua, non solo come il sedimento delle tradizioni, dei riti e dei miti di un popolo, ma soprattutto l’agente attraverso il quale quelle stesse tradizioni e quegli stessi riti si propagano e permangono nel tempo, comprendiamo la misura del soffocamento culturale in atto.
- La seconda ragione è di carattere economico. In questo caso l’ente oppressore è lo stato che governa, attraverso il monopolio della forza e imponendo il rispetto di determinate norme. Un concetto eminentemente giuridico.
Si rtiene lo stato centrale responsabile di applicare una politica economica disarticolata rispetto alla tradizionale economia sarda, rispetto alle sue risorse e potenzialità.
Una politica economica che, attraverso le connivenze con la classe dirigente locale, subordina gli interessi dell’isola alla politica nazionale, impedendo di fatto alla popolazione dell’isola lo sviluppo che essa trarrebbe in assenza di tale azione e consegnando una politica di natura meramente assistenziale che non prevede nessun intervento di natura strutturale.
In sostanza lo smantellamento del comparto agropastorale, di quello industriale e di quello artigianale (la piccola e media industria sarda) ha di fatto impedito ogni intrapresa endogena dell’economia.
Da non dimenticare inoltre l’immensa fetta di territorio che dal dopoguerra è stata destinata a servitù militari scellerate, anche questo fattore di mancato sviluppo economico e turistico (Vedi qui ) che ha recato immani danni non solo ambientali ma è anche causa dell’altissima percentuale di leucemie tra la popolazione nei pressi di basi e poligoni (Vedi qui). La Sardegna è stata considerata una "base strategica " ai fini militari della nato, posizione che si va affievolendo vista la recente centralità acquisita da altre zone: quali il mediooriente e l'area asiatica.
Breve storia servitù militari.
- Per concludere questa breve esposizione rimane un altro punto da toccare, ma non meno importante.
La sola affermazione di una volontà di indipendenza da un potere centralista che rifiuti anche solo il bisbiglio del termine “separatismo”, prefigura la visione, da parte del movimento indipendentista sardo, di una società nuova, senza se e senza ma: l’assenza di una tale visione, comporterebbe non solo l’abbattimento di una delle principali ragioni che l’hanno “chiamato” ad agire sul territorio ma ne inficerebbe irreparabilmente l’obiettivo finale, ossia il modello di società che genera la volontà sacrosanta d’autodeterminazione di un popolo.
Una società che dunque rifugga dalle regole del gioco globaliste e scellerate del libero mercato selvaggio e che riscopra, anzi, l’importanza non solo della comunità sarda tutta, ma anche delle micro comunità presenti all’interno d’essa.
Sarebbe del tutto inutile e beffardo se a proclamare l’indipendenza e a guidare la “nuova terra” fosse una classe politica locale che ricalchi in tutto e per tutto i mali dell’attuale classe dirigente nazionale.
La libertà è fatta più di sostanza che di proclami dall'alto d'un "balcone" che domina la folla.
Davide.
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Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo.
(Johann Wolfgang Goethe)
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