(Descrizione sommaria di un settore tra i più vasti del mondo del lavoro in Italia. Con uno sguardo in particolare al problema dei committenti).
Il settore delle telecomunicazioni, TLC, comprende una variegatissimo numero di figure professionali e di categorie: è rappresentato “da tutte le attività connesse alla trasmissione di suono, immagini, dati o altre informazioni trasmesse via cavo, radiodiffusione, ripetitore e satellite.”
Si va insomma dalla Rai al più classico dei call center.
Fino al 1991 l’unico operatore abilitato a fornire servizi di telecomunicazioni era lo stato. Dal 1994 in poi il settore ha conosciuto una rivoluzione, in quanto da quel momento fu data la possibilità di fornire servizi di telecomunicazioni anche a enti multisocietari, fino ad arrivare, nel corso degli anni, alle aziende private.
Un settore dunque molto giovane, lascito nei primi anni al caos e alla barbarie del mercato e, a bassissimo tasso di sindacalizzazione, dove, si sono concentrate e si concentrano, notevoli aree di precarizzazione, paragonabile almeno all’inizio, per alcuni addetti ai lavori, alla deregolamentazione presente nel settore “fast food” degli anni 90.
La Circolare Damiano del Ministero del lavoro ha contribuito a rendere il settore più regolamentato, anche se, molte imprese continuano a ricorrere al lavoro a progetto nonostante i divieti in essa contenuti, alimentando fenomeni di dumping, generando lavoro precario e malpagato.
Le categorie sociali più coinvolte in questa precarizzazione sono senz’altro giovani(spesso ad alta scolarizzazione), donne (la % percentuale di donne impiegate nel settore supera la soglia del 70% rispetto agli uomini) e persone che hanno perso il lavoro con un età troppo avanzata per inserirsi nei loro settori di specializzazione.
Dopo questa brevissima panoramica passiamo al problema dei committenti.
Il problema dei committenti nasce dalla “presunta” esigenza da parte di grosse aziende di “esternalizzare” alcune fasi del processo produttivo, cioè, darlo in affidamento ad altre imprese (definizione generica di outsourcing).
In ordine a tale esternalizzazione si riscontra un continuo “gioco al ribasso” da parte di queste imprese appaltatrici e subappaltatrici di lavoro che, “giocando” sulla concorrenza tra imprese fornitrici di servizi e sull’enorme “esercito di riserva” di lavoratori, spesso alla ricerca della prima occupazione, contribuiscono in maniera determinante a rendere non solo la retribuzione del settore tra le più basse del mondo del lavoro, ma anche gli stessi luoghi di lavoro degli “inferni”: con strutture spesso fatiscenti (per usare un eufemismo) e attraverso l’utilizzo di supervisori che assomigliano più a dei “kapò” che non a semplici superiori della scala gerarchica (discorso soprattutto legato ai lavoratori a progetto, la cui attività, di progettuale non ha nulla, si tratta di attività di lavoro subordinato mascherate da progetti).
Outsorcing dunque è un termine che da una parte, quella delle imprese, indica una razionalizzazione dei costi produttivi nonché l’incrementazione dello spazio, della flessibilità e della specializzazione di alcune aree produttive; dall’altra, quella dei lavoratori: retribuzione più bassa, precarizzazione, assenza di diritti quali malattia e ferie retribuite (nei casi più gravi), luoghi di lavoro ad alto contenuto di stress e pressione psicologica.
Esternalizzare non significa tuttavia solo delocalizzare settori d’attività da un’azienda ad un’altra, significa anche, delocalizzare l’attività per aree geografiche.
Si assiste ad esempio a fenomeni di delocalizzazione sovranazionale. Specie da parte di grossi committenti (come H3g, Sky, Fatweb o Telecom) che spostano attività in paesi dove la manodopera costa molto meno (Albania, Romania, Argentina,Tunisia etc…): prefigurando lo smantellamento di intere aree produttive del paese d’origine, con conseguenze catastrofiche in termini di occupazione.
…..e conseguenze ovviamente negative anche per l’utente stesso: servizi più scadenti e inoltre problema della privacy- i dati dei clienti finiscono appunto in questi paesi esteri.
Fenomeni di delocalizzazione da aree generalmente più produttive del nostro paese a aree più depresse che spesso consentono di usufruire di sgravi fiscali.
- E’ fondamentale regolamentare e limitare il potere delle committenti, attualmente praticamente illimitato. Le quali, ad esempio possono, attraverso la firma di clausole vessatorie, che impongono alle aziende fornitrici di servizi, abbandonare dall’oggi al domani l’impresa con la quale hanno il rapporto di collaborazione. Si devono duque legare i lavoratori alle commesse, in modo che la committente non possa semplicemente “lavarsi le mani” di lavoratori che fino al giorno prima hanno lavorato per lei.
- Introdurre una “formula di responsabilità sociale ed etica”, per cui non si possa giocare oltre un ribasso minimo (in una gara d’appalto- oltre a imporre limitazioni ai subappalti), che consenta alle aziende fornitrici di servizi di avere un minimo di ritorno economico dall’erogazione degli stessi. Alla faccia del mercato libero. Meglio non lasciarlo agire da solo, perché di etico non ha nulla. Altro che “laissez faire, laissez passer”.
- In ultimo, ma non meno importante, per quanto, sia chiaro, il ruolo dei sindacati si stia restringendo in maniera drammatica (processo iniziato a fine anni sessanta) con “strategie” unicamente concertative che di fatto consegnano il potere decisionale nelle mani delle aziende: la costituzione di un sindacato europeo, a carattere sovranazionale, che riesca a contrastare i fenomeni di dumping sociale, e porre una regolamentazione sovranazionale all’apertura d’aziende in luoghi più o meno esotici.
Davide
Nessun commento:
Posta un commento